Nomadizziamoci

Syusy madrina dell’energia solare per la rivista Fotovoltaici FV

Copertina di fotovoltaici FV Di seguito, il testo dell’intervista che il giornalista Roberto Rizzo fa a Syusy in qualità di “madrina dell’energia solare” per raccontare il suo rapporto con l’ambiente e con le energia rinnovabili, ribadito dal progetto Nomadizziamoci! che Syusy continua a portare in giro per l’Italia, e dal tentativo ben riuscito di fare di Adriatica una barca a vela ecologica e autosufficiente energeticamente.

È una fra le autrici e presentatrici televisive più conosciute dal grande pubblico. Nei suoi programmi ama rovesciare, con ironia e intelligenza, luoghi comuni e modi di pensare convenzionali. Al centro della sua attività artistica fanno da sempre capolino le tematiche ambientali e delle energie pulite. Stiamo parlando di Syusy Blady, nome d’arte della bolognese Maurizia Giusti, che col marito Patrizio Roversi ha creato uno dei sodalizi artistici più amati dal pubblico televisivo. Sono più di quindici anni che Syusy e Patrizio, coi loro viaggi, portano nelle nostre case e ci fanno conoscere luoghi, popoli e usanze di tutto il pianeta. Inizialmente grazie alle numerose e fortunate edizioni di “Turisti per caso”, in onda sulle reti Rai sin dai primi anni Novanta fino al 2001. Poi con “Velisti per caso”, dal 2002 al 2004, e con la trasmissione più recente, “Evoluti per Caso – sulle tracce di Darwin”, dedicata al viaggio che diede lo spunto al naturalista inglese Charles Darwin per la teoria dell’evoluzione delle specie. “Evoluti per caso” con l’imbarcazione “Adriatica” ha ripercorso dal dicembre 2006 al maggio 2007 la rotta di circumnavigazione dell’America del Sud che Darwin seguì con il Beagle. Sono state dodici le tappe di Adriatica: dalle Galapagos al Brasile, toccando Ecuador, Perù, Cile e Argentina. Quindi l’imbarcazione ha circumnavigato il continente latino-americano in senso opposto rispetto a quanto fece Darwin; questo per potersi garantire i venti e le correnti migliori. Ogni tappa è stata il luogo di una ricerca scientifica tendente a rifare, spiegare e, soprattutto, attualizzare gli esperimenti di Darwin. Ma anche il pretesto per far capire al telespettatore italiano quanto siano preziosi quei delicati habitat marini e terrestri e quanto sia urgente cambiare, fin da subito, i nostri stili di vita. “Si tratta di un messaggio che mi sta molto a cuore – ci racconta Syusy Blady – e dobbiamo riflettere sul tipo di sviluppo della nostra civiltà occidentale per cambiarlo in profondità: non possiamo permetterci di finire come i dinosauri, che mentre una catastrofe li estingueva, probabilmente stavano ballando e guardando un reality show.”

Da quando ti senti ambientalista?

Mi sento sensibile al tema ambientale più o meno da sempre. Appartengo a quella generazione nata proprio quando prendeva avvio l’epoca del boom economico e dello spreco, ma anche quando non c’era ancora l’acqua minerale in bottiglia e molte persone che abitavano in città coltivavano dietro casa un piccolo orto per produrre la verdura. Non mi è difficile pensare che sotto diversi punti di vista a quel tempo si stava meglio.

Che cosa hai imparato grazie ai tuoi viaggi?

Andando in giro per il mondo mi sono resa conto di come sia insensata la filosofia della crescita infinita e che non si possa andare avanti in questa maniera. Il viaggio di Darwin aveva come tema principale l’evoluzione umana e ho capito che non si deve confondere il termine evoluzione con la nostra civiltà, quella occidentale. Conoscendo le lotte degli Indios dell’Amazzonia o dei Guaranì per proteggere le loro foreste, ho capito che in realtà noi abbiamo sbagliato tutto. Può darsi che la risposta giusta stia ignorare completamente tutto questo, ma non è nella mia natura. Preferisco cercare di fare qualcosa, non riesco a stare ferma e pensare “quel che sarà, sarà”. È necessario un approccio diverso e credo che noi occidentali abbiamo comunque l’intelligenza sufficiente per risolvere le tante emergenze ambientali che abbiamo creato. L’importante è mettersi in cammino per fare questo.

Da dove nasce il progetto di Nomadizziamoci?

Anni fa sono stata in Mongolia e mi sono entusiasmata dal fatto che queste popolazioni avessero creato il più grande e importante impero dell’epoca pur essendo nomadi. Vivevano da millenni e vivono benissimo ancor’oggi in tende, le tipiche Ger o Yurte, fatte in legno e coibentate da feltri fatti da lana ispessita, appoggiate direttamente sul terreno.
Hanno una struttura con le pareti che si chiudono a pantografo tenute assieme da lacci e mai da chiodi. Oltre a una porta, danno verso l’esterno con una grande finestra centrale al colmo del tetto tonda, divisa da otto raggi come la sacra ruota tibetana che fa diventare la tenda un orologio solare durante il giorno e un luogo di osservazione delle stelle di notte. È resa impermeabile da uno stato strato di tela gommata ed è ricoperta dentro e fuori da uno strato di cotone. Ha i legacci di lana di cammello ed è una delle prime case costruite dall’uomo: ne sono trovate tracce persino datate 400.000 anni fa.

E ne hai portata una qui in Italia.

Esattamente. La mia Yurta misura nove metri di diametro quindi ci sono sessanta metri quadrati di spazio occupabile. Quando si è al suo interno si deve seguire un comportamento prestabilito: ci si siede a terra dopo essere stati invitati a entrare, le donne si mettono a destra e gli uomini a sinistra. Il bello è che quando hai voglia di spostarti, la chiudi, la carichi sui cammelli e te ne vai. Sul terreno non lasci praticamente nessuna traccia. Ho capito che per vivere in maniera confortevole non è necessario abitare in case in cemento: le ger mongole sono fatte per vivere con temperature esteriori fra i -40 e i +40 oC. C’è tutta una civiltà dietro. Questa tenda è partita dalla Cina ed è arrivata qui a Bologna, già questa è un’immagine folle. L’abbiamo montata a Ecomondo, la fiera di Rimini, e poi l’abbiamo montata a Bologna in Piazza Santo Stefano per Natale: è stato come fare un regalo alla città.

Oggi però la cultura nomade in Italia è vista in maniera alquanto negativa.

Il fatto di non permanere in un luogo, di non coltivarlo di non possederlo ti rende libero. Il fatto di portarti dietro la tua casa e le tue cose seguendo gli animali che debbono spostarsi sul territorio ti fa essere pienamente umano. Questo succede nella tundra mongola ma anche nei deserti per i Tuareg, nelle steppe per i Sami, nelle praterie per gli Indiani d’America, negli alpeggi per i nostri pastori. È una cultura che è rimasta ancorata all’economia che vive il territorio, che segue l’animale. È un’economia molto arcaica, ma molto pulita, rispetto a tutte le altre. Da quando l’uomo ha cominciato a rendersi agricoltore ha recintato la sua proprietà e questa logica è fuori dall’idea che la terra è di tutti e di nessuno: è di chi la percorre. Per la cultura nomade la terra è da percorrere, da raccogliere, per lasciarci gli animali, non da fare propria. Lo scontro tra queste due logiche nasconde lo scontro di civiltà. Credo che difendere, apprezzare, scoprire la vita dei nomadi sia molto interessante: si vede un modo di fare diverso, un adattamento al territorio molto raffinato, perché quello che i nomadi si portano dietro è estremamente pensato, è selezionato. Il messaggio di nomadizziamoci è proprio quello di cercare di prendere come modello uno stile di vita che si adatta all’ambiente, invece di cercare di adattare l’ambiente alle nostre esigenze.

Ma non ti sembra di fare discorsi controcorrente?

La Yurta può essere dotata di pannelli fotovoltaici, parabole e diventare un’abitazione a tutti gli effetti che può permettere l’autosufficienza. È patrimonio dell’Unesco, tra l’altro. Questo oggetto può rappresentare una mediazione con l’ambiente in modo ancora più pulito. Ho pensato a un progetto di divulgazione culturale e scientifica, per cui portiamo in giro la Yurta, la arrediamo con gli oggetti della tradizione, la scaldiamo con una stufa a biomassa, la illuminiamo con un pannello fotovoltaico, ci trasportiamo con le macchine elettriche. Praticamente noi potremmo vivere così. Dobbiamo cambiare la prospettiva da cui guardiamo il mondo: i comportamenti virtuosi e rispettosi dell’ambiente non sono da sfigati, ma sono caratteristici di persone più sensibili rispetto ad altre. Dobbiamo riscoprire la bellezza e l’estetica della sostenibilità. Se voglio fare una casa bella non la faccio in cemento ma la faccio in legno o come le tende mongole; se voglio navigare per mare, non lo faccio su un motoscafo a motore ma con una barca a vela e che usa le fonti rinnovabili; non butto la spazzatura in maniera indifferenziata per strada, ma la differenzio e la getto nei cassonetti appositi. Ho visto le turbine eoliche in Corsica, in Spagna e le ho trovate sempre molto belle affascinanti. Viaggiando si scoprono un sacco di cose, ma se non si ha la sensibilità adeguata allora non te ne accorgi. Ho visto in giro per il mondo posti dove l’autosufficienza è una tradizione, dove la gente da sempre vive adattata al proprio ambiente, trovando delle risposte ecocompatibili, basate su risorse rinnovabili.

A proposito di rinnovabili: ci dici qualcosa di Adriatica, la barca che tu e Patrizio Roversi avete utilizzato sulla rotta di Darwin?

Enel ha progettato installato su Adriatica un impianto che produce l’energia sfruttando un ventaglio di fonti rinnovabili: due mini-turbine eoliche da 360 W ciascuna, un’elica a trascinamento da 120 W, due moduli fotovoltaici per complessivi 140 W di picco e un sistema di accumulo energetico basato sull’idrogeno stoccato a bassa pressione. Gli impianti a fonti rinnovabili installati sulla barca producono mediamente circa 6,5 kWh giornalieri, un terzo dei 20 kWh che servono ogni giorno per i servizi di bordo. Attuare tutto questo su una barca è stato un esperimento di elevato valore scientifico che ha permesso di verificare le prestazioni di questi sistemi proprio in ambiente marino. Abbiamo anche ricevuto da Legambiente il premio come miglior progetto per le buone pratiche per le energie rinnovabili. In 7 mesi di navigazione, dal dicembre 2006 al maggio 2007, Adriatica ha risparmiato 2.000 litri di gasolio, equivalenti al consumo di gasolio di una berlina diesel di media cilindrata macina circa 40.000 km. Abbiamo così risparmiato le emissioni di 4,4 tonnellate di CO2.

Utilizzi le fonti rinnovabili anche a casa tua, a Bologna?

Purtroppo abito in centro a Bologna e per l’Assessorato delle Belle Arti non posso installare i moduli solari. Da tempo voglio costruire una vera casa ecologica, non però in cemento. Avevo pensato a costruirmi una casa ecologica, in legno, ma l’idea non mi soddisfaceva del tutto perché non esprimeva la mia voglia di ribellione al permanere in un luogo, a farlo proprio, a violentarlo, piegandolo alle esigenze di una gettata in cemento o delle fognature. E poi, costruita una casa così come si fa per mostrarla? Tutta la gente interessata a vederla deve spostarsi, e se fossi io, con la mia ‘casa’ a spostarmi?! Se ogni posto fosse casa mia e nello stesso tempo non lo fosse? Per tutti questi motivi mi sono appassionata alla ger mongola. L’idea è di arrivare all’autosufficienza attraverso l’energia e le costruzioni alternative. La Yurta è per me anche e soprattutto un oggetto magico, un punto di incontro, un luogo sciamanico dove prendere un tè e cercare qualche saggia decisione. In fondo, assomiglia a un UFO e un po’ anche a un seno materno.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Abbiamo già portato e montato la tenda in varie parti d’Italia: l’abbiamo esposta in fiere, convegni, feste locali. Organizzeremo anche dei campeggi in collaborazione con diversi comuni per farla conoscere e far vedere che esiste un altro tipo di evoluzione e civiltà. Di certo non meno intelligente della nostra.

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