Dopo aver intervistato Alessandro Demontis a proposito del suo “De Homine” (intervista che potete rivedere qui), Syusy ne ha approfittato per dibattere con lui anche alcuni temi legati agli studi di Zecharia Sitchin. Tema di questo approfondimento il mito babilonese dell’Enuma Elish (Enûma Eliš) rispetto alla formazione del sistema solare. La formazione del sistema solare sarebbe già stata raccontata nell’Enuma Elish semplicemente mettendo al posto dei pianeti e del sole i nomi degli Dei… Cosa ne dice Zecharia Sitchin?
Questo mito potrebbe essere anche più antico? Risponde Alessandro De Montis:
Mi spiace irrompere in un dialogo che forse non necessita delle nostre chiose; mi sento tuttavia in dovere di completare la carrellata di congetture polarizzate attorno alle idee e ai libri di Zecharia Sitchin, andando a rispolverare – e qui proporre per la prima volta – alcune costruzioni messe a margine dalla letteratura e dai circoli intellettuali, ma non per questo meno convincenti, se non per il fatto che, a parte l’impianto teorico, esse possono beneficiare di un robusto ancoraggio a verifiche di ordine strettamente matematico. Nonostante ciò, inspiegabilmente, pochi studiosi (ma diciamo pure nessuno) fra quelli più corteggiati dalle case editoriali, hanno ritenuto di poter e voler approfondire un canale di ricerca capace di sorprendere per precisione e ricchezza di contenuti .
SI dà il caso, infatti, che esistano analisi facenti capo agli studi dello storico Giorgio de Santillana, del quale nessuno sembra volersi ricordare o, men che meno, tenere in considerazione. Eppure lo studioso vanta studi di gran spessore che si avvalgono di un approccio al linguaggio del mito assai diverso da quello adottato dagli autori privilegiati dal mercato.
La questione della formazione del sistema solare, così come è stata proposta nell’ Altra genesi di Z.Sitchin, potrebbe allora essere rivalutata secondo i canoni individuati da Giorgio de Santillana, attraverso cioè un riferimento delle narrazioni favolistiche al meccanismo cosmico della precessione degli equinozi, per effetto del quale nei quattro punti solstiziali e soprattutto equinoziali si verifica un avvicendamento delle costellazioni. L’idea assai romanzata (e ben venduta) delle ‘catastrofi’ parlerebbe dunque, attraverso il linguaggio simbolico, di continue ‘sommersioni’ di una terra vecchia e conseguenti emersioni di una terra nuova, dovute al fatto che ogni età del mondo ha, e ha sempre avuto, una propria storia, una propria terra sorta dalla scomparsa di una vecchia, un suo piano dell’eclittica. Quando perciò i punti dell’anno vengono determinati da altre costellazioni, sorge all’orizzonte (sull’orizzonte) una terra ‘nuova’ facendo sì che quella ‘vecchia’ sprofondi sotto il livello del mare. Questa immagine potrebbe allora essere quella raffigurata dall’epica di Marduk ( ‘come si separano le valve di un mollusco’ – Enuma Elish ) che seziona il corpo di Tiamat (Terra) in due porzioni complementari*, quindi non- frammentate, a formare da una parte le terre emerse e dall’ altra quelle sommerse, in cui le costellazioni sarebbero ‘inghiottite dalle acque’, nel loro moto contrario dovuto al movimento giroscopico precessionale.
Tale dinamica non esprime allora concetti metafisici (come vuole R.Guenon, Il simbolismo della croce cap 6, nota n° 9) e men che meno fisico astronomiche (e geologiche), come lascia intendere l’ interpretazione letterale, che poi è la stessa proposta da Sitchin. Quella che vien fuori dalla descrizione platonica del cosmo, è casomai una vera e propria sfera armillare, quella stessa sfera il cui solido platonico più vicino è rappresentato dal dodecaedro regolare (quinto elemento, etere) di cui il Demiurgo (Timeo, 55 c) ‘si servì per decorare l’universo con figure di animali (zodiaco)’.I dati tradizionali provenienti dai reperti conducono quindi alla seguente tripartizione:
il cielo a nord del Tropico del Cancro, che è il ‘cielo’ propriamente detto, dimora degli dèi; e il mondo abitato dallo zodiaco compreso fra i due tropici, dimora dei vivi (la terra propriamente detta); il cielo a sud del Tropico del Capricorno. L’oceano d’acqua dolce o ‘mare di latte’, il regno dei morti. ‘Sotto’ il mare, nell’emisfero australe, si trova la porzione di eclittica a noi visibile col suo polo, che è come ‘sommersa’, data la sua inclinazione rispetto al piano dell’equatore celeste: qui sono situati gli inferi. Dice Virgilio (Georgiche I, 242 – 243): ‘Questo polo è sempre alto sopra di noi, ma l’altro sotto i nostri piedi, lo vedono il nero Stige e gli inferi.
* divisione simbolica non certo fisica, visto che
l’espressione fra virgole indicherebbe la perfetta
corrispondenza fra questi due emicorpi, proprio
come le valve di un mollusco/mitile; risultato
piuttosto difficile da ottenere in seguito all’impatto
fra due pianeti il quale, viceversa, produrrebbe
una frammentazione estremamente irregolare.
No, non si tratta solo di cambiare nomi ai pianeti: l’equivoco è monumentale, immenso e persino un po’ ridicolo, ma a quanto pare rende parecchio. Il discorso riguarda i canoni di un linguaggio arcaico, oggi del tutto dimenticato. Giorgio de Santillana ha scritto bene e permesso di individuare riscontri astronomici precisi, con ragionevolezza scientifica, competenza e senza sparate eclatanti, ma sembra davvero che se non scrivi di ometti verdi, devastazioni e cataclismi imminenti non vi sia editore disposto a versare una goccia di fiducia sui tuoi lavori: esigenze della comunicazione (e dell’ignoranza) massificata, si dirà …